"John F. Kennedy ha detto che nella vita il coraggio è una meravigliosa fusione di trionfo e tragedia... un uomo fa quello che deve... ma è più facile vedere quello che vogliamo vedere piuttosto che cercare la verità, tu pensi di conoscermi ma non è così, questo significa che non sai cosa sono capace di fare, tu mi vedi come una ragazza brillante che ha tutte le risposte, ma non è cosi... forse non sono così responsabile come tutti credono, ma cercherò di migliorare le cose... e quando faccio uno sbaglio, perchè ammettiamolo... capita a tutti... ti prometto che ti chiederò aiuto... non posso farlo da sola... ma se tu mi darai una possibilità, allora insieme potremmo fare grandi cose... ti prometto che se crederai in me troverò il coraggio di realizzare tutti i tuoi sogni... "

-Brooke Davis, "Candidata alla Presidenza" 2x13

sabato 14 aprile 2012

Era una notte stellata quella del 14 Aprile 1912.



Era una notte stellata ma senza luna; non c’era vento solo qualche banco di nebbia; il mare non era mai stato così calmo, nel Golfo di Terranova, vicino alla Groenlandia, nemmeno un’onda.
Il presagio era chiaro: tutto andava storto, visto che quei tre elementi mancanti erano tutto quello che serviva per identificare un iceberg.
La città galleggiante, progettata e costruita un anno prima a Belfast, procedeva a tutta velocità, perché chi l’aveva finanziata, disegnata e costruita aveva detto di battere un nuovo record: oltre che la più grande e la più bella del mondo, sarebbe stato bello che se ne parlasse anche per quanto fosse veloce.
Arrivare a New York con ventiquattr’ore di anticipo avrebbe fatto del Capitano Smith un eroe senza tempo, che lo avrebbe iscritto per sempre nell’album della storia.
Nessuno sapeva che tutti ci sarebbero entrati lo stesso, loro malgrado.
Il nome della città galleggiante era evocativo: Titanic.
In realtà a ben pensarci, aveva già tutto il suo destino scritto in quel nome. La mitologia raccontava infatti che i Titani fossero i figli ribelli del Cielo e della Terra, Urano e Gea, che sfidarono il padre e conquistarono il potere. Zeus però riuscì a domarli e la loro prepotenza venne punita: inabissati nelle viscere della Terra, sotto l’acqua per l’appunto, per non riemergere mai più.
Come se non bastasse già questa cattiva associazione, nel Novecento c’era un’altra macabra somiglianza: “Titan” era infatti il nome di un transatlantico fittizio, nato dalla penna di Morgan Robertson, protagonista del romanzo intitolato “Futility”.
Sapete qual è la storia narrata nel racconto? Il “Titan”, nave britannica, affonda nelle acque dell’Oceano scontrandosi con un iceberg. Storia strana, eh?
Ma questa è solo una ridicola elucubrazione di gente maligna e superstiziosa; il Titanic infatti, punta di diamante della White Star Line e gemello di Olympic, era costruito per essere inaffondabile e Dio stesso non avrebbe potuto far sprofondare quel gigante dal profilo lussuoso ed imponente, che ospitava ogni classe di quella società mondiale che ben presto sarebbe stata sconvolta da una delle più terribili guerre novecentesche.
Se noi però vogliamo tornare ad essere cinici e –perché no – anche un po’ superstiziosi, dobbiamo considerare anche le altre nefaste vicende che caratterizzano il bel transatlantico: gli operai cattolici, che avevano lavorato alla costruzione della stella del mare nei cantieri di Belfast, si spaventarono notando che, leggendo al contrario il numero di serie della nave, si leggeva chiaramente “No Pope” (il numero era 390904, provate a leggerlo davanti allo specchio, ndr); il 10 Aprile poi, uscendo dal porto, il Titanic rischiò subito di travolgere una nave di linea. Il pericolo per fortuna fu scampato ma la paura non fu poca; inoltre, il coraggioso ed esperto capitano Smith durante la sua onorabile carriera dovette affrontare ben quattro incidenti navali, uno dei quali portò alla morte di tre uomini del suo equipaggio per uno scoppio delle caldaie, era il 1889 e la nave di cui era al comando era la Republic.
Ma siamo nel Novecento, il secolo delle grandi scoperte, quello in cui l’abilità dell’uomo è indiscussa, dove la scienza supera tutte le altre teorie: religiose, mitologiche, magiche.
Il Titanic è “il più grande oggetto in movimento mai costruito nella storia dell’uomo” e la sua divisione in classi rispecchiava perfettamente la società dell’epoca.
Cosa sappiamo della Belle Epoque? Poco e niente a dire il vero se ci si ferma a ciò che ci viene insegnato, perché a scuola non gli si da troppa importanza. Ma la società tra la fine dell’800 e prima della Prima Guerra Mondiale è caratterizzata dalla possibilità incredibile di far fortuna, vive in un clima di assoluta serenità, in cui non ci sono lotte o malcontenti, almeno in apparenza.
In realtà è quello che si chiama la quiete prima della tempesta, se si pensa a cosa sarebbe successo dopo soli due anni.
Ed è proprio questo che mi piace sottolineare: il Titanic secondo me, può essere visto proprio come la triste, tragica e orrenda parabola di quello che succederà di lì a poco. La società felice e spensierata sarà scossa e distrutta per sempre dall’iceberg della Guerra, che porterà morte, lutto e disperazione, sconvolgendo per sempre le vite di chi ha avuto la sfortuna di viverla.
Il naufragio della nave più affascinante della storia è, paradossalmente, il naufragio del mondo intero e non solo dei passeggeri che ebbero la sventura di comprare o vincere un biglietto per gli Stati Uniti sul Titanic.
Ciò che mi affascina della nave e della sua storia è molto di più della semplice e anche un po’ banale storia di Rose e Jack, che ha dettato la fortuna cinematografica di Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. Ci sono i racconti dei sopravvissuti che ho letto facendo ricerche sin dalla prima volta che ne ho sentito parlare; c’è il fascino di quella società perbenista eppure così corrotta moralmente da lasciare senza parole, che credeva che i soldi potessero comprare tutto, anche il cuore delle donne; c’è la storia di chi invece non ce l’ha fatta, milleduecento anime disperse nell’Atlantico, morte assiderate per colpa per lo più dei pregiudizi e dell’incapacità umana: le scialuppe in numero ridotto perché erano brutte alla vista e occupavano spazio nella società della bellezza estetica; una sola scialuppa che è tornata indietro a recuperare i dispersi in mare; gli avvisi iceberg – ben tre- bellamente ignorati per una supponenza e una superiorità che si addicono perfettamente al modo di pensare dell’epoca.
Poveri e ricchi sono comunque tutti in viaggio sulla stessa rotta, tutti con lo stesso intento: far soldi. Chi per cambiar vita, chi per continuare a condurla con un certo tenore. E allora potevi trovarti a passeggiare sul Ponte con Benjamin Guggenheim (sì, quello che da nome al museo di New York!) che non potendo viaggiare sulla Lusitania (di proprietà della Compagnia rivale della White Star) dovette optare per il Titanic, o a ballare una danza popolare insieme a italiani, lituani e irlandesi che viaggiavano in terza classe e che avevano pagato il biglietto 32 dollari, contro i 3100 della prima classe. Nuovi ricchi e vecchi poveri che si dividevano la nave dei sogni.
Mi affascina l’orchestra che ha suonato fino alla fine, per il puro gusto di farlo
o per senso del dovere e che ha visto l’acqua arrivargli alle caviglie, presagio chiaro della morte che li avrebbe presi; mi affascina il Capitano Smith, che aveva capito che sicuramente avrebbe concluso la sua carriera in modo eclatante, chiuso in cabina di comando, aspettando di andar giù con la sua nave, come vuole il codice della Marina (e come è stato purtroppo dimenticato da un certo furbetto di una nave del 2012, che è miseramente scappato da buon italiano, ndr); mi affascina il cuoco italiano della prima classe, con i suoi camerieri tutti connazionali e anche gli uomini dell’equipaggio, che lavoravano nelle caldaie e che lo fecero il più a lungo possibile anche dopo l’impatto con la montagna di ghiaccio, per garantire la luce e l’elettricità al gigante che aveva iniziato il suo irrimediabile declino verso gli abissi.
Era una notte stellata, senza un alito di vento e il transatlantico viaggiava in tutto il suo splendore, veloce e incurante dei pericoli: era bello da guardare quel dio titanico dallo scafo splendente che batteva ogni record e univa spazio e tempo, come voleva il manifesto futurista. Era l’immagine in movimento del secolo che stava arrivando, la descrizione perfetta di una società in ascesa (o forse in declino?), il simbolo perfetto della contraddizione, di una moralità falsa e poco resistente, che porterà l’armatore Ismay ad incoraggiare il capitano ad andare a tutta velocità per dimostrare la capacità del gigante e al tempo stesso a dimostrare la vigliaccheria di chi aveva partecipato alla sua creazione: Ismay sarà fra i primi a garantirsi la vita, salendo su una scialuppa di salvataggio, lasciando affondare il transatlantico e con esso anche la sua stessa coscienza e mille e più passeggeri.
Era una notte stellata e non c’era nemmeno la Luna, i cui raggi avrebbero riflesso sulle pareti bianche dell’iceberg; c’era la nebbia e la montagna di morte e ghiaccio spuntò come per magia a soli 450 metri dalla nave, che poteva frenare in uno spazio di 780.
Si navigava tranquilli, ci si augurava la buonanotte tra i membri dell’equipaggio, lo stesso Smith si ritirò in cabina poco prima dell’impatto. Tra i passeggeri, qualcuno ancora era nel salone centrale, altri si stavano cambiando nelle loro cabine per prepararsi all’ennesima notte in mare aperto, ma al calduccio sotto le coperte.
Ma l’infida montagna bianca, probabilmente arrabbiata perché quegli uomini superbi avevano ignorato la sua presenza, era lì e non lasciò tempo di far nulla: tutte le manovre risultarono insufficienti, lo schianto fu anche più subdolo. Nessun frontale, perché riuscirono a frenare ma non erano consapevoli della parte non emersa che li colpì, li ferì e li uccise.
Un rombo, un tuono, un tremore, qualcosa di indistinto e poco identificabile venne percepito da tutti i passeggeri del Titanic, che iniziarono a chiedersi cosa fosse successo, perché la nave si fosse fermata e perché venne ordinato loro di indossare i giubbetti salvagente.
Allarmi SOS furono lanciati subito, a cui solo quattro navi risposero e di cui solo una poteva arrivare in soccorso ma non prima di quattro ore. Al Titanic ne restavano solo due prima dell’affondamento: cinque dei compartimenti stagni si allagarono, con quattro si sarebbe mantenuta a galla. Non c’era modo di impedire che la nave andasse giù.
Il caos fu quello che ebbe la meglio in quei momenti: gente che cercava di accaparrarsi un posto sulle scialuppe, quelle stesse imbarcazioni considerate antiestetiche e sicuramente di numero insufficiente e che ora erano come un miraggio; l’equipaggio che non sapeva dove mettersi le mani e perse la testa; viscidi uomini d’affari che cercavano di salvare la loro fortuna, povera gente
di terza classe che avrebbe fatto la fine del sorcio, annegata completamente perché considerata la parte della società che non conta.
Due ore di delirio e paura, in cui il Titano dell’Atlantico imbarcò acqua, si innalzò, si piegò e si spezzò, come se volesse dimostrare a tutti che non fosse affatto inaffondabile: si sgretolò come fosse di paglia, si divise addirittura a metà e la prima trascinò giù con se anche la seconda, per separarsi solo successivamente e viaggiare a novanta nodi fino allo schianto sul fondo dell’Oceano, dove ancora oggi è visibile, corroso dall’acqua marina che lo ha reso quasi inaccessibile ormai.
Era una notte stellata, quella tra il 14 e il 15 Aprile del 1912 e furono proprio solo quelle stelle, oltre agli occhi increduli e spaventati dei passeggeri, ad assistere alla sparizione della nave del mondo.
Non so spiegare perché il Titanic mi ha stregata in questo modo. Forse per le sue contraddizioni, forse per lo spirito curioso e romantico (e non nel senso amoroso del termine) che mi ha sempre spinta a cercare, leggere, capire; fatto sta che se mi dicessero che ho l’opportunità di imbarcarmi e scendere negli abissi a largo della costa di Terranova, per poter andare a vedere quel relitto che evoca storie e fasti, non ci penserei due volte e salterei sul sottomarino per andare a vivere il Titanic, cento anni dopo.
Per dovere di cronaca e per amore del Titanic, devo aggiungere che la Carpathia, della compagnia rivale, arrivò quando il Titanic era già sparito nelle profondità portando sulla terra ferma i 711 supersiti, assistendoli e rassicurandoli, ammesso che si potesse dare sollievo a chi aveva perso tutto: soldi, amici, parenti, speranze, dignità e identità.
Era una notte stellata e tutto sembrava perfetto ma la storia del Titanic fu segnata per sempre.
Crollò la nave, crollò la Belle Epoque. Finirono le feste e la musica e arrivò la Guerra.
Era una notte stellata e il destino del mondo intero cambiò per sempre.